La paura
ETIMOLOGIA:
dal latino: pavor: timore, paura, da cui pavido
SIGNIFICATO Sensazione di pericolo, reale o immaginario
Si tratta di un sentimento che accomuna gran parte del regno animale: la
paura, che come sensazione di un pericolo, è uno strumento geniale, ai fini
della sopravvivenza. Qualsiasi
tipo di paura, sia negli uomini che negli animali, è sempre collegato alla
paura di non esistere. L'animale di fronte alla paura ha solo due
reazioni dettate dall'istinto: il restare immobile o la fuga. L'uomo, proprio
perché non è solo istinto, ha la capacità di contenerla, di analizzarne la
causa e quindi di trovare il modo più conveniente per affrontarla.
La paura
che ci ha preso, specie quando il coronavirus è arrivato in Italia e ha cominciato a mietere vittime, aveva una
particolare connotazione: ci siamo trovati di fronte a qualcosa di nuovo e di
sconosciuto e quando non conosciamo le caratteristiche del nemico, la paura
aumenta in modo esponenziale. Inoltre le misure prese per la sicurezza nel
periodo del lock down ci ponevano in una posizione di passività, potevamo solo
rimanere in isolamento e attendere.
Il tema
della paura è stato affrontato da molti poeti, come Charles Baudelaire (Parigi, 9 aprile 1821 - Parigi, 31 agosto 1867), uno dei maggiori rappresentanti del simbolismo francese.
Egli fu certamente uno dei poeti più sensibili ai sentimenti della
paura, dell'angoscia, dell'inquietudine. In numerose poesie della
raccolta Les fleurs du mal (1857) infatti, troviamo
descrizioni dettagliate di questa sensazione opprimente che
spesso travolge l'animo del poeta, impadronendosene.
L'ABISSO (Videolettura)
Pascal aveva un abisso che con lui s'agitava.
- E tutto è abisso! - Azioni, desideri, sogni, parole!
E sui miei peli tutti ritti sento spesso passare il vento della Paura.
In alto, in basso, ovunque, profondità,
silenzio, spazio che spaventa e attira...
Dio, col suo dito sapiente, in fondo alle mie notti
segna un incubo multiforme e senza tregua.
Ho paura del sonno come si ha paura d'un gran buco,
tutto pieno di vago orrore, che porta chissà dove;
da ogni finestra non vedo altro che infinito,
e il mio spirito, sempre
ossessionato di vertigine,
invidia l'insensibilità di
questo nulla.
- Potessimo non uscire mai dai numeri e dagli
esseri
Vi propongo quest'altra poesia di Baudelaire, sempre tratta
dalla raccolta: "Les fleurs du mal", perché
molti suoi versi richiamano situazioni
di paura che abbiamo vissuto, anche se il titolo: Spleen ha più il significato di malinconia, cattivo umore
SPLEEN (Videolettura)
Quando come un coperchio, il cielo basso e greve
schiaccia l'anima che geme nel suo eterno tedio,
e stringendo in un unico cerchio l'orizzonte
fa del dì una tristezza più nera della notte,
quando la terra si muta in umida cella
segreta
dove sbatte la Speranza, timido pipistrello,
con le ali contro i muri e con la testa nel soffitto marcito;
quando le immense linee della pioggia
sembrano inferriate di una vasta prigione
e muto, ripugnante un popolo di ragni
dentro i nostri cervelli dispone le sue reti,
furiose ad un tratto esplodono campane
e un urlo lacerante lanciano verso il cielo
che fa pensare al gemere ostinato
d'anime senza pace né dimora.
Senza tamburi, senza musica, sfilano funerali
a lungo, lentamente, nel mio cuore: Speranza
piange disfatta e Angoscia, dispotica e sinistra
infilza nel mio cranio il suo vessillo nero.
La cella, dove la Speranza sbatte le ali contro i muri, non vi
fa pensare al nostro isolamento? I funerali dell'ultima strofa non sembrano
forse quelli del lock down: un rito breve, alla presenza di pochi? Mentre le
parole sfilare a lungo non richiamano alla mente l'inquietante
fila di camion dell'esercito, che uscivano da Bergamo, trasportando altrove le
salme che non avevano potuto trovarvi sepoltura?
Negli
anni settanta c'è un poeta, Dario Bellezza
che scrive molti versi sulla paura. Fu scoperto e lanciato da Pasolini. Vinse
il premio Viareggio, tradusse l'intera opera di Rembaud, ma non ebbe molta
fortuna, morì in povertà e solitudine. La poetessa Biancamaria Frabotta ha detto di lui:
«Ne scrisse di versi, perfetti e indimenticabili, che bisognerà rassegnarsi,
prima o poi, a considerare tra i più belli del Novecento italiano».
In letteratura il tema della diffusione e del contagio della
malattia e la paura conseguente è presente fin dalla letteratura antica: ad esempio, nel I libro dell'Iliade, Apollo scatena, scoccando le sue frecce,
una terribile pestilenza nell'accampamento greco per punire Agamennone della
mancata restituzione della figlia al sacerdote Crise. Sofocle, nell'Edipo re,
racconta invece di una terribile pestilenza che devasta Tebe accompagnata da
funesti presagi. L'unico modo per stornare la pestilenza sarà quello di
allontanare l'uccisore di Laio (lo stesso Edipo). Come si vede in questi due
esempi, la pestilenza assume la valenza di una punizione che gli dei infliggono
agli uomini per le loro malefatte. Con un salto di secoli la peste è il motivo
trainante del Decameron. Alcuni secoli dopo Alessandro Manzoni nei Promessi sposi
ambienterà una parte del romanzo nella Milano del seicento, colpita dalla
pestilenza.
In tempi più recenti ricordiamo il racconto La mascherata della morte rossa di E. A. Poe
e La Peste di Camus.
Anche nel racconto di Poe, come
nel Decameron, i
personaggi si isolano e, per di più, si rinchiudono in un baluardo fortificato,
il quale però si dimostrerà del tutto inefficace per la loro protezione. Non
possiamo inoltre tralasciare un certo tipo di fantascienza, che richiama alla
mente un'altra paura di oggi. Infatti l'allarme scatenato dalla diffusione del
coronavirus rischia di trasformare la realtà in un vero e proprio universo distopico (di utopia negativa). Si può temere il sistema di controllo e isolamento messo in
atto per cercare di contrastarlo. Sui telegiornali, sui social, sui blog
abbiamo sentito parole come "zona rossa", "quarantena", "isolamento",
che possono ricollegarsi nell'immaginario di alcuni a tutto un sistema di controllo pervasivo e dittatoriale. Il timore di
questi è che l'utilizzo di questi mezzi divenga eccessivo e incontrollato. Vengono
alla mente le raffigurazioni della società che abbiamo visto in molti film
distopici: interi quartieri e città blindati, controllati
dall'esercito in tenuta antisommossa e mitra spianati contro chiunque non
rispetti il divieto di passare.
Voglio solo ricordare alcuni
romanzi di fantascienza distopica, che
mostrano una società del futuro devastata da virus sconosciuti.
Sullo scorcio dell'Ottocento appare un
romanzo che, fra i suoi temi cardine, annovera anche quelli del contagio e
della diffusione della malattia: Dracula di Bram Stoker (1897).
La malattia è una vera e propria pestilenza, che si
diffonde in città tramite miriadi di ratti. Le strutture del
controllo e dell'ordine cittadino vengono falcidiate dalla peste, metafora del
vampirismo. Nel 1954 viene pubblicato il romanzo di Richard Mateson, Io sono leggenda : un'epidemia causata da un
batterio ha trasformato l'intera umanità in vampiri. L'unico non infetto è il
protagonista, il quale vive barricato nella sua villetta, uscendo solo di
giorno per procacciarsi il cibo. Dopo l'incontro con una donna, apparentemente
non infetta, il personaggio si ritroverà a scontrarsi con una comunità di
esseri umani contagiati ma non completamente trasformati in vampiri, i quali
finiranno per avere il sopravvento.
Nel 1995 J. Saramago nel romanzo "Cecità" mostra invece la diffusione della
cecità, che è assimilabile ad un vero e proprio virus. Anche in questo caso lo
scenario è catastrofico: morti per le strade, la città in totale stato di
abbandono, gruppi di ciechi che occupano le case altrui e lottano l'uno contro
l'altro per assicurarsi il cibo. La cecità rappresentata dal libro ha
sicuramente un valore metaforico e rappresenta l'incapacità di guardare oltre e
più in profondità, da cui deriva l'assuefazione alle dinamiche oppressive di
qualsiasi potere.
Per il 6 ottobre provate a lavorare sul tema: GLI UNTORI, potrebbe
essere la riflessione sull' essere visti dagli altri come tali (e quindi la
diffidenza) oppure la storia di un asintomatico, di un positivo con una forma
lieve di Covid... o altro ancora.
Buona scrittura, Patrizia.