Patrizia Invernizzi Di Giorgio: Lockdown
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Lockdown
Resta chiuso il portone
la casa non ha vie d'uscita.
Dalle finestre intravvedo volti
dietro altre finestre,
come me smarriti.
Fuori la strada vuota,
il parco muto senza le grida
dei bambini
I giorni non hanno più colore,
trascorrono uguali,
per l'ansia di riempirli.
Sullo schermo solo città deserte
e immagini di morte.
Dentro i muri di casa ho lavorato,
alacre come non mai,
per scovare ogni traccia di polvere.
Ho ribaltato i cassetti e trovato
lettere sepolte e vecchie foto ingiallite.
Ho ripreso in mano il pennello,
tagliato e cucito vecchi scampoli,
senza fermarmi, instancabile,
ma quanto potrà mai durare
questa energia febbrile?
Framezzo lunghi momenti di silenzio,
duro affrontarlo, così impenetrabile
e vuoto, allusivo di funesti presagi,
ho atteso la sera, perché mi consolassero
i rintocchi di campana.
È buio, appoggio le mani stanche sulla
tavola,
mi sembra di non stringere nulla fra le dita,
la mente aggrovigliata in pensieri,
neri di paura e di morte.
Da qualche parte arriverà la fine
del tunnel, e quando?
Saremo ancora integri o mutilati
nella segreta parte di noi?
E se gli altri, che abbiamo amato
o solo conosciuto
restassero per sempre lontani,
divisi da questo livido
fiume senza ponti?
Le mie braccia diventerebbero inutili
e le labbra senza baci, secche.
Per chi batterebbe il cuore, confinato
in un'eterna prigione senza sbarre?
Domande senza risposta
e infinite, vane preghiere.
Così a poco a poco la vita,
piegata sul suo stelo
come un fiore appassito,
si farebbe arida, insopportabile,
non avrebbero senso
né pianto né parole.
Il desiderio e il ricordo
degli altri svanirebbero
e lentamente ci
spegneremmo
anche noi, perché l'anima
non avrebbe più luce.