Ci
riferiamo qui alle città moderne, che, a partire dal 1800, subiscono un
processo di inurbamento, cioè di migrazione di grandi masse dalla campagna alla
città. Questo è possibile, perché c'è un surplus di prodotti agricoli, dovuto
al miglioramento delle tecniche di produzione e all'introduzione di macchinari.
Il miglioramento della nutrizione, il progresso della medicina e la
diminuzione della mortalità infantile portano ad un elevato aumento della
popolazione.
La
gente nel XIX e XX secolo si sposta dunque in città, per trovare lavoro nelle
fabbriche. Questo crea a partire dalla seconda metà del Novecento agglomerati
estesissimi, che vengono chiamati megalopoli.
Nell'800
le condizioni di vita dei lavoratori nelle città sono disumane. Le case sono
malsane e fatiscenti, non c'è limite all'orario di lavoro, tanto che gli
operai, tornando a casa spesso si addormentano per strada. Il lavoro minorile
viene largamente impiegato. Si tratta dunque di una condizione molto simile a
quella della schiavitù.
Durante
la fine dell'800 e nel 1900 i contadini e gli operai lottano e ottengono
miglioramenti salariali e delle condizioni lavorative, anche se oggi se in
molti casi tornati allo sfruttamento e le fabbriche si sono spostate ai margini
delle città. La città offre una quantità di spunti per riflettere, per
scrivere; prendiamone uno a caso: la folla, Come viviamo la sua realtà: cosa
possiamo provare a trovarci dentro la folla o ad osservarla dall'esterno? La
poetessa polacca (premio Nobel nel 1966) Wislawa Szymborska esprime nei suoi
versi il sentimento di spersonalizzazione
Nella foto della folla
la mia testa è la quarta
dal bordo
o forse la settima da
sinistra
o la ventesima dal basso;
la mia testa non so quale,
non più una, non più
unica,
già simile alle simili,
né femminile, né maschile;
i segni che lei mi manda
non sono affatto
particolari;
forse lo Spirito del Tempo
la vede, però non la
guarda;
la
mia testa statistica,
che
consuma acciaio e cavi
tranquillamente,
globalmente;
è qualunque e non si
vergogna,
è scambiale, e non si
dispera;
è come se non l'avessi
fatto
a parte, a modo mio;
è come se si scavasse un
cimitero
pieno di crani anonimi
di buona conservabilità
nonostante la mortalità;
come se lei già fosse là,
la mia testa d'altri, di
chiunque -
dove, se qualcosa ricorda,
è il suo avvenire
profondo.
La folla può essere
avvertita come qualcosa di pericoloso, può generare panico, tant'è vero che si
parla di folla acefala (senza testa), come un grande corpo, che non
avendo testa, non ragiona. Abbiamo visto in questi giorni come in Iran, ai
funerali del generale Soleimani siano morte per la calca 50 persone. In certe
situazioni la folla non è più governabile, inoltre può farci smarrire il senso
della responsabilità.
Nessun fiocco di neve in una valanga si è mai sentito
responsabile.
(Voltaire)
La storia del XX e XXI
secolo ci ha mostrato folle oceaniche, manipolate da dittatori, che le hanno
condotte alla guerra e all'olocausto. Scrive Freud: "Per il solo fatto
d'esser parte di una massa, l'uomo scende di molti gradini nella scala della
civilizzazione. Preso da solo, era forse un uomo civile; nella massa, è un
istintivo, perciò un barbaro.
Pirandello, nella novella
"Bronte" ci ha raccontato come la folla scatenata si può vendicare
delle ingiustizie subite, spingendosi fino al massacro. L'antefatto è l'arrivo
dei garibaldini, che sembrano portare la libertà.
"Sciorinarono
dal campanile un fazzoletto a tre colori, suonarono le campane a stormo, e
cominciarono a gridare in piazza: "Viva la libertà!"
Come il mare
in tempesta, la folla spumeggiava e ondeggiava davanti al casino dei
galantuomini, davanti al Municipio, sugli scalini della chiesa: un mare di
berrette bianche; le scuri e le falci che luccicavano. Poi irruppe in una
stradicciuola.
"A
te prima, barone! che hai fatto nerbare la gente dai tuoi campieri!"
Innanzi a tutti gli altri una strega, coi vecchi capelli irti sul capo, armata
soltanto delle unghie. "A te, prete del diavolo! che ci hai succhiato
l'anima! - A te, ricco epulone, che non puoi scappare nemmeno, tanto sei grasso
del sangue del povero! - A te, sbirro! che hai fatto la giustizia solo per chi
non aveva niente! - A te, guardaboschi! che hai venduto la tua carne e la carne
del prossimo per due tarì al giorno!"
Ma
il peggio avvenne appena cadde il figliolo del notaio, un ragazzo di undici
anni, biondo come l'oro, non si sa come, travolto dalla folla. Suo padre si era
rialzato due o tre volte prima di strascinarsi a finire nel mondezzaio,
gridandogli: "Neddu! Neddu!" Neddu fuggiva, dal terrore, cogli
occhi e la bocca spalancati senza poter gridare. Lo rovesciarono; si rizzò
anch'esso su di un ginocchio come suo padre; il torrente gli passò sopra; uno
gli aveva messo lo scarpone sulla guancia e gliel'aveva sfracellata; nonostante
il ragazzo chiedeva ancora grazia colle mani. Il taglialegna, dalla pietà, gli
menò un gran colpo di scure colle due mani, quasi avesse dovuto abbattere un
rovere di cinquant'anni e tremava come una foglia - un altro gridò: "Bah!
egli sarebbe stato notaio, anche lui!"
Provate
ora a scrivere dentro un cerchio le parole, gli aggettivi o le metafore che la
folla vi ispira.
Per casa
(incontro di martedì 4 febbraio): " In mezzo alla folla si sentiva..." oppure " Scappò via
dalla folla che lo aveva inghiottito..."