Maria Lucia Faedo: La casina

04.02.2022

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La casina

A volte riemerge come in un sogno evanescente e pur tuttavia nitido e reale il ricordo dei miei sette anni nel lontano1949:

Spesso mi capitava di passare davanti ad un cancello con un giardino silenzioso che alimentava la mia fantasia e mi ricordava il racconto del "Gigante egoista" ma un bel giorno, proprio nell'anno dei miei sette anni, come per magia dalla notte al mattino, è spuntata "una casina tutta di legno", così tutta d'un tratto, prima non c'era e poi sì, una casetta da fiaba.

Mentre passo davanti a quel cancello ad ondate mi arrivano delle risate e mi fermo, ecco, lì dove prima c'era solo erba ora c'è una casina tutta di legno e due bambine giocano a rincorrersi;

-Ma di chi è quella casina e chi ci abita? e chi sono quelle bambine?-

e papà mi dice che il proprietario di quel -sogno- è "mio zio" un vecchio brontolone fratello di mio padre ma fatto incredibile e straordinario ( per me poco chiaro) anche nonno di quelle bimbe e di conseguenza un po' mie cuginette.

Lo zio burbero che per me rappresenta "l'orco" in un angolo molto nascosto del suo cuore (incredibile) è capace di amore e fantasia e proprio per amore delle nipotine ha costruito la casetta.

Mi sveglio con il cielo di smalto azzurro ed il desiderio di oltrepassare il cancello, conoscere "le cuginette" e giocare nella casina e così passo davanti al giardino più volte lentamente sperando di essere notata e chiamata ma...niente

Io invece osservo e mi sembra che una bambina sia grande come me e l'altra più piccolina e sono vestite uguali: una sottana a quadretti rossi e bianchi con la camicetta bianca e niente grembiule, io invece sopra al vestito ho un grembiule con le rose gialle con lunghe bretelle incrociate sulla schiena.

La grande ha i capelli corti, lisci e neri, io invece ho le trecce fermate da nastri (e dolori a pettinarli.)

Ancora il cielo di smalto come il mio desiderio inalterato di passare quel cancello perennemente chiuso, passo e ripasso...finché un giorno vedo nel giardino altre bambine e tra queste la figlia del farmacista (lunga ossuta e con un prominente naso aquilino) e la figlia della maestra e- perché io no?-

Mio padre che è sempre stato generoso con i prodotti del suo orto ha preparato una cesta di uva primizia, la migliore, la più dolce e matura e la porta a sua nipote, che è - mistero-la mamma di quelle due bambine (faccio sempre fatica a ricostruire queste parentele, perché io sono l'ultima della nidiata, infatti la nipote di mio padre ha le figlie della mia età, vacci a capire) ma...

-Mangeranno l'uva del mio orto, la stessa che mangerò io- almeno in questo non c'è differenza ma c'è un cancello chiuso per me, loro dentro, io fuori.

Dentro- fuori

Paradiso- inferno.

Dopo qualche giorno, ed ecco quel famoso giorno dei miei sette anni, oltrepasso il cancello (forse perché mio padre ha rivelato il mio desiderio) e così vengo a sapere che una bambina si chiama M. e l'altra G. e corriamo subito a giocare dentro la casina.

Ancora adesso la vedo e la vivo, costruita con assi di legno, una stanza al piano terra con un tavolo, una panchina tazze ed una scala che va al piano superiore "La stanza da lavoro"con le pareti coperte da disegni ed un tavolo spazioso pieno di fogli di carta, matite colorate, forbici ecc.

Mentre gioco osservo attentamente M. e G. ed arrivo alla conclusione che dopotutto sono come me, stesso cielo, stessi giochi, stesse risate, niente barriere.

Sono in paradiso, tocco il cielo con un dito e tocco tutto, faccio scorrere le dita sulle pareti, sul corrimano della scaletta, vorrei fermare il tempo, avere i capelli corti, la sottana a quadretti bianchi e rossi tutta arricciata ed essere fortunata come loro, ma ben presto, troppo presto il gioco viene interrotto dal rumore di passi pesanti che si avvicinano e da una voce tonante: "M. è ora" e capisco dal tono che non è possibile replicare, infatti M. non se lo fa ripetere e con aria scocciata lascia il disegno incompleto e corre fuori seguita anche da noi due e ci sediamo compunte su una panchina dove l'omone (che è il papà) ci aspetta e consegna a M. una pagina di giornale (senza illustrazioni!) e lei comincia a leggere, con una nota di astio nella voce, sì, io la nota stridente la sento.

-Ma quale privilegio, legge ed il papà ASCOLTA ATTENTO- penso,

-a casa mia invece devo leggere a bocca chiusa facendo scorrere gli occhi da una riga all'altra e formare le parole con il cervello ed anche quando leggo a voce sommessa c'è sempre qualcuno che dice che do fastidio!-

-Anch'io so leggere- dico emozionata e così dopo un po' l'omone mi passa il giornale e mi fa continuare la lettura, mi impegno al massimo per pronunciare bene quelle parole difficili che non capisco, molto importanti credo e mi sento a mia volta importante.

(Era una lettura molto noiosa, lo confesso)

Da allora sono passati molti anni, il giardino non c'è più, forse ho visto la casetta marcire e cadere a pezzi ma nella mia mente è rimasta intatta, nata all'improvviso e mai morta.

Se avessi potuto avrei tanto giocato in quella casetta fino a renderla lucida con i miei passaggi, l'avrei coperta di disegni colorati ed ora avrei ricordi di giochi e risate condivisi con M. e G.

La conseguenza è stata 1 : Mi sono tagliata i capelli da sola (la prima di una lunga serie infatti mantengo l'abitudine)

2 :Amo leggere il quotidiano

NB Per quanto abbia insistito ed ho insistito molto, non sono riuscita ad avere la sottana a quadretti rossi e bianchi perché mamma sosteneva che assomigliava ad una tovaglia.

Ora siamo tutte e tre vecchie ma come in una fotografia il tempo si è fermato a quel pomeriggio assolato con le stesse bimbe di allora e lo sfarfallio bianco e rosso delle sottane

a quadretti e la nostalgia dei giochi non fatti.

Nel giardino dei sogni non sono mai più ritornata, di tanto in tanto ho voluto sapere della loro vita: Non sono state così fortunate come io avevo sognato e sperato per loro.