Maria Lucia Faedo: Izo

14.09.2020

Izo

Era il momento ideale per scrivere: Cielo color cobalto, acqua del lago appena increspata e lo stormire delle foglie come musica.

Le flessibili canne lacustri ondeggiavano al soffio del vento, Izo sentì cuore e cervello riempirsi di poesia e come un fiore nel suo cuore sbocciò un perfetto haiku:

LE CANNE AL VENTO

Con mano veloce e sicura disegnò i kanji sulla leggera carta di riso prima che l'ispirazione l'abbandonasse quando improvviso un rumore sordo, un gorgoglio potente lo fece sussultare alzò gli occhi e vide nel bel mezzo del lago un vortice di acqua ribollente e nera che girava e girava ed ingigantiva fino a lambire la terra e nella pazza corsa si allargava ed inghiottiva tutto quello che trovava, sembrava un mostro insaziabile e fu sicuro che l'occhio del gorgo lo guardava con un sogghigno maligno.

Izo restò immobile con i peli del corpo rizzati i piedi ben piantati a terra e muscoli tesi alla difesa.

Era un giovane monaco ed aveva imparato con la meditazione a sviluppare una forza quasi soprannaturale infatti riusciva a levitare nell'aria per diversi metri ed era anche capace di bloccare un toro infuriato con la sola forza del pensiero e...

Izo si trovò sulle scalinate del monastero, stringeva tra le mani un foglio di carta con un perfetto Haiku:

Le canne al vento

Tutto qui.

Saliva le scale faticosamente, un affanno gli stringeva il petto, era sudato, guardava il suo foglio di carta di riso dove spiccava il verso bellissimo e lo leggeva con stupore:

LE CANNE AL VENTO

E sentiva un pesante vuoto alla testa e non ricordava dove e quando l'aveva scritto, non vedeva l'ora di ritirarsi al buio per recuperare forze e ricordi.

Izo si addormentò sul suo tatami di un sonno profondo senza sogni, quando si destò non sapeva calcolare quanto lungo era stato il sonno, sentì di essere immerso in silenzio inusuale, un silenzio assoluto, non la nenia dei canti, non la campana per il raduno della preghiera, non il gong, niente di niente.

Dalle finestre coperte da pesanti tendaggi penetrava una luce bianca come quella invernale tipica delle giornate freddissime colme di neve, fu allora che il suo occhio cadde sulla carta bianca dove spiccava la scritta di inchiostro nero:

Le canne al vento e provò un'emozion.

LE CANNE AL VENTO... e ricordò un cielo azzurro, una meravigliosa giornata primaverile e l'increspatura del lago.

A piedi scalzi percorse i corridoi silenziosi del monastero, si recò nella cucina sperando di trovare qualcuno, ma niente, nessuno, era piuttosto strano non sentire il brusio simile ad un alveare che accompagnava la vita del monastero.

Uscì con passo incerto nella luce abbagliante del cortile e la prima cosa che notò fu che la sua ombra non l'accompagnava, non esistevano ombre, nessuna ombra neppure quella delle mura del monastero si proiettava per terra, erano spariti i boschetti di bambù ed i rossi aceri, era circondato dal nulla, davanti a lui si estendeva un luccicante pietrificato angosciante deserto.

Con circospezione cominciò a camminare cercando di ricordare il percorso che portava al lago quando quasi inciampò in uno strano involucro (sembrava un mucchietto di stracci) guardò e con orrore riconobbe se stesso un Izo vuoto come la pelle del serpente quando fa la muta ed allora preso dal panico cominciò a toccarsi braccia, petto e gambe ma la mano non trovava ostacoli passava da una parte all'altra del corpo, il suo corpo solido fatto di carne e sangue non esisteva più.

Si rese conto allora che era sospeso in una dimensione sconosciuta schiavo di

UN TEMPO SENZA TEMPO

La vista quella si, quella non lo ingannava era quella di sempre VEDEVA (ne era certo) e quello che vedeva non gli piaceva per niente!

L'acqua argentea del lago rifletteva un sole accecante e vide, sì vide con una certezza oltre ogni dubbio un grande gelido mostro metallico simile ad una carpa che lo guardava sogghignando maligno con il suo occhio-oblò per inabissarsi con un rumore sordo in un vortice...