Antonio Fiorito: La mia scuola elementare

04.02.2022

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La mia scuola elementare

Oppido Lucano (Potenza)
Ottobre 1951 - Maggio 1954

A Oppido Lucano frequentai la Quarta e la Quinta elementare. A conclusione dovetti sostenere l'esame per conseguire la Licenza Elementare e contemporaneamente studiare per sostenere l'Esame di Ammissione alla Prima Classe della Scuola Media Inferiore. Prima Media che frequentai come convittore, in collegio a Potenza. A Oppido vi erano solo le scuole elementari.

Qui la scuola non era molto diversa da quella che avevo conosciuto e vissuto a Caposele. In particolare, la povertà della regione e del paese influivano significativamente sulle sue caratteristiche strutturali, organizzative, metodologiche.

La mia scuola consisteva in una specie di scantinato o magazzino nella abitazione del nostro maestro che egli stesso aveva messo a disposizione e adibito ad aula scolastica. Non c'era la campanella, non c'era il bidello, non cera nemmeno il gabinetto. Senza finestre, la sola luce entrava dalla porta solo quando essa veniva aperta. Le lezioni si svolgevano alla luce dell'unica lampadina pendente dal soffitto, ma vi erano i banchi per gli alunni, la cattedra del maestro e una lavagna completa di "cancellino" fornito da uno di noi e costituito da una striscia di panno arrotolata su sé stessa. Quando il cancellino si consumava o rovinava o si perdeva in seguito ai giochi di noi ragazzi, era normale che dovessimo noi scolari provvedere a fornirne uno di nuovo. Il nostro maestro era anche Sindaco e, nel tempo libero dal suo impegno scolastico, svolgeva anche le funzioni istituzionali... o, nel tempo libero dagli impegni istituzionali, faceva anche il maestro... non sò, ma questa era la cruda realtà di quel paese.

Oppido è situato su una collina a 670 metri s.m.. La nostra scuola-aula-scatinato non era dotata di riscaldamento. Nei mesi invernali avevamo freddo, eravamo costretti a tenere almeno il cappotto. Senza un berretto (per rispetto al maestro quello non potevamo tenerlo) la testa si congelava e si faceva fatica a concentrarsi. Il naso ci colava. Con le mani intirizzite non riuscivamo a scrivere. Così, per un certo periodo, per gentile comprensione e concessione, alcuni di noi si portarono uno scaldino, un barattolo di pomodoro a cui era stato applicato un manico di filo di ferro con dentro un po' di carboni accesi coperti dalla cenere per farli durare più a lungo: con quello, in qualche modo, ci scaldavamo un po' le mani, piene di "geloni", rendendole utilizzabili.

Per nostra fortuna, in quell'aula-scantinato esisteva un camino e, un bel giorno, chissà in seguito a quale provvidenziale ispirazione, il nostro maestro si disse disponibile ad utilizzarlo se ciascuno di noi scolari fossimo stati disposti a portare ogni mattina un pezzo di legno da ardere. Fu così che, nei mesi invernali, ogni mattina, andammo a scuola con la cartella a tracolla con dentro i libri, i quaderni, la penna e il calamaio e, tra le braccia, un pezzo di legno da ardere nel caminetto della nostra scuola.

I nostri inverni scolastici divennero più confortevoli, i nostri cervelli si scongelarono, le nostre mani tentarono di scrivere in bella calligrafia.